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La bellezza dell’anno che verrà

La bellezza dell’anno che verrà

La fine dell’anno e l’inizio dell’anno nuovo sono tempo di bilanci e di propositi per quello che verrà, ognuno spera che le sfortune, le negatività, la tristezza cessino allo scoccare della Mezzanotte per lasciare il posto al nuovo e a un destino migliore. Su quale base? Un mero auspicio, non più probabile nel suo avverarsi che la certezza che destiniamo alla lettura quotidiana dell’oroscopo, un’abitudine, un gesto di scaramanzia.

Il tema è al centro di una delle Operette morali scritte da Giacomo Leopardi “Dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggere”, il primo millanta ogni sorta di fortuna per l’anno che verrà, il secondo replica realista “Quale anno vorreste rivivere? Perché il nuovo anno dovrebbe essere migliore di quello passato? ”.

La ricerca della felicità è spesso rimandata in un ipotetico domani, perché mai il domani dovrebbe essere migliori del quotidiano? Tra i desideri e progetti per un anno nuovo migliore è più felice spicca un’esigenza: poter avere più tempo da dedicare a se stessi.

È un dato comune: corriamo tutti come forsennati dalla mattina alla sera, ormai incapaci di distinguere urgenze e futilità, priorità e questioni di secondaria importanza, si corre da bambini sollecitati da genitori stressati a cimentarsi in ogni genere di attività, si corre da grandi, dietro alla ricerca di lavoro, al suo mantenimento o ad avanzamenti di grado.

Si corre anche nel tempo libero, inseguendo la forma fisica, la socializzazione, la crescita interiore, si seguono corsi di ogni tipo, ci si stressa anche per l’aperitivo e le raccolte punti.

Siamo tutti trafelati e insoddisfatti, perennemente connessi, attenti ad aggiornare il profilo Facebook, a caricare foto, a chattare e sempre irrimediabilmente più soli e incapaci di dialogare.

L’ozio pare essere divenuto il peggiore dei vizi, dovremmo trarre insegnamento dagli artisti che nell’ozio hanno trovato uno stile di vita funzionale alla realizzazione delle loro opere.

Senza volere addentrarci in campi filosofici , cosa significa prendersi del tempo per staccare e stare un po’ soli con sé stessi?

Sufficiente sarebbe osservare i bambini, veri maestri di vita e spesso proprietari gelosi di una casetta sull’albero, magari una in legno costruita dal nonno nel giardino di casa, o una di cartone in un angolo della stanza, luoghi magici, ricchi di poesia, dove rifugiarsi e diventare realmente chi si desidera essere, luoghi da condividere o vivere in solitaria lasciandosi andare a sogni o riposo.

Ciascuno di noi dovrebbe coltivare una sua casa sull’albero, intesa come giardino interiore, dove staccare un po’ dallo stress e ritrovarsi, ogni persona ha un proprio modo d’intendere l’evasione, può essere il quarto d’ora dedicato alla colazione al bar con lettura dei quotidiani, la passeggiata con il cane, l’aperitivo con le amiche, la seduta dal parrucchiere, la sessione di esercizi in palestra, ciò che conta è che sia percepito come del tempo per sé, da dedicare ad un’attività piacevole e rilassante e non una delle molteplici voci da spuntare alla lista quotidiana degli impegni.

Chiara Macina

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